La chiesa, intitolata a san Biagio, fu eretta nel XVII sec, ma poi è stata restaurata varie volte nei secoli.
È davvero un punto di riferimento visivo, nonché urbanistico, nel centro storico. La bella scalinata, rifatta a metà ‘900, è nell’immaginario collettivo perché da lì sono scese migliaia di coppie di sposini, ma soprattutto perché da quelle scale scendono e salgono le statue delle Varette, protagoniste della processione del Venerdì Santo amanteano.
La facciata presenta tre portali in pietra. Su quello centrale vi è una lapide stemmata della famiglia Di Lauro con iscrizione (1677, fu Giovan Battista Di Lauro a promuovere il progetto, ma il popolo partecipò con grande impegno economico). Gli stipiti sono caratterizzati da ondeggianti volute, arco semicircolare arricchito in chiave da un grosso concio con ornamenti in risalto e cornice piana modanata. Stessi motivi ripetuti nei portali laterali. Più su c’è un finestrone rettangolare con timpano triangolare.
Nella seconda metà del ‘900 la chiesa madre ha acquisito molto fascino per la bella scalinata balaustrata.
Possiamo definire la chiesa di forma basilicale, con interno a croce latina. Ci sono tre navate, quelle minori sono separate dalla centrale da robusti pilastri che formano archi a tutto sesto.
In una nicchia c’è la figura a cui sono molto legate le famiglie dei vecchi marinari, ovvero la Madonna del Rosario. Essi sono sotto la sua protezione. Una galea amanteana partecipò (si legge in volumi di storia paesana) alla battaglia di Lepanto del sette ottobre 1571, contribuendo al trionfo cristiano sui Turchi; vittoria attribuita all’intercessione della Madonna invocata, a Roma e in tutto il mondo, col rosario. Papa Pio V, che istituì la festa del Rosario il sette ottobre in memoria di quella vittoria della cristianità, riconobbe il valore dei marinai amanteani assegnando loro la protezione della Vergine. La confraternita, però, dovrebbe essere molto più antica.
Nel presbiterio abbiamo a sinistra un affresco col martirio di San Biagio, quadro novecentesco di artisti calabresi (Carmelo Zimatore e Diego Grillo, di Pizzo). A destra c’è un rifacimento su tela del pittore amanteano Pedrito Bonavita, trattasi di un tema che rappresenta il santo in un eremo con le belve ammansite… (il precedente era rovinato per l’umidità…). Al centro due dipinti di S. Pietro e S. Paolo, e poi la particolare cornice in legno dorato (proveniente dalla Chiesa del Collegio dei Gesuiti), scuola napoletana del XVII secolo, che contiene un dipinto novecentesco di San Biagio (autore Giuseppe Curcio di Fiumefreddo Bruzio) che salva un bambino che aveva ingoiato una lisca di pesce (infatti San Biagio è protettore della gola…).
Come si legge sulla lapide a sinistra del presbiterio, qui è stato sepolto un vescovo nel 1817, tal Gregorio Mele deceduto durante visita pastorale. Sulla volta sono affrescati gli evangelisti e le virtù cardinali.
Passiamo alle navatine laterali. A sinistra andiamo incontro alla statua più amata, la vera protagonista del Venerdì Santo, con tutta la sua carica drammatica ed emozionale. Nella processione è posizionata in ultimo, poiché si vuole dare l’idea di un funerale, la Mamma sta dietro la barella del Figlio morto. Ma in realtà lei è l’Addolorata, la donna affranta che sulla collinetta del Gòlgota (come narra S. Giovanni), dodicesima stazione della Via Crucis canonica, assiste all’orrenda fine di suo figlio. Nel corteo del Venerdì Santo viene preceduta da un gruppetto di confratelli che intona lo Stabat Mater ed è seguita da centinaia di persone, moltissime donne…
Vicino all’ingresso sagrestia abbiamo un quadro di un certo valore, settecentesco: la Madonna con Santa Teresa e San Bernardino. Proseguendo verso sud c’è un altro dipinto apprezzato, il tema è l’Annunciazione, attribuita al noto pittore fiumefreddese settecentesco Giuseppe Pascaletti. Più in fondo alla navata c’è la Presentazione di Gesù al Tempio, dipinto di ignoto dell’800…
L’anno di (inizio?) costruzione della chiesa matrice amanteana è indicato dalle fonti e dalle iscrizioni come il 1677. È probabile che in quel sito, nel tardo medioevo, ci fosse la chiesa o cappella di san Pantaleo – e la stradina che si snoda dalla chiesa verso la marina è conosciuta ancora oggi come “Pantalìa”.
Tra le figure rimaste scolpite nella memoria c’è un monumentale Crocifisso del ‘700, di bottega napoletana, che fu trafugato nel 1978. Uno shock per la comunità, che dovette ordinare uno nuovo ad una bottega altoatesina.