Il complesso fu eretto in varie fasi: 1607- 1621 – 1631 – 1650. Originariamente la chiesa fu intitolata a Santa Maria di Porto Salvo, poi con la soppressione di una chiesa (o due?) nel borgo antico fu cambiato nome, e sorse la parrocchia di Santa Maria Pinta e Campana, nel XIX secolo.
Quando furono eretti chiesa (con denominazione Santa Maria di Porto Salvo) e convento, il patrizio amanteano don Rutilio Cavallo si accollò le spese e donò un fondo di sua proprietà, come si può desumere da una lapide posta sulla parete del piccolo atrio di un’entrata laterale della chiesa.
I lavori, nelle prime decadi del ‘600, andarono a rilento per il rifiuto degli eredi di Rutilio Cavallo, passato a miglior vita, di concedere altre sovvenzioni. Ad un’ulteriore richiesta di finanziamenti, in base alla volontà testamentaria del donatore, i Cavallo si opposero con il pretesto che «i frati volessero costruire un fortilizio e non un convento», in dispregio della regola della santa povertà. Di fronte a ciò i Cappuccini si difesero sostenendo che i fondi invocati non solo servivano per costruire il pozzo del chiostro, per recintare il giardino e per dotare la fabbrica delle suppellettili necessarie e degli arredi sacri, ma essenzialmente per edificare un adeguato numero di celle per accogliere i numerosi padri di passaggio, che facevano sosta obbligata ad Amantea, stazione di arrivo e di partenza per i viaggiatori. Proprio in prossimità del convento esisteva un approdo, come si vede in una nota xilografia settecentesca di Amantea del geografo napoletano G.B. Pacichelli.
La controversia fu risolta dalla Santa Sede tramite le bolle di Gregorio XV del 31 marzo 1621 e di Urbano VIII del 02 luglio 163l. Per ottenere le somme fu concesso a Muzio Cavallo di apporre sulla costruzione lo stemma gentilizio della famiglia e di erigere una cappella funeraria contigua alla chiesa.
Tornando alla collocazione urbana odierna, facciamo notare che nel ‘600 invece la chiesa si trovava ampiamente fuori dalle mura dell’antico borgo, che correvano lungo la parete rocciosa soprastante corso Umberto I e nei pressi dell’attuale Monumento i Caduti. Inoltre, la chiesa dei Cappuccini era quasi lambita dal mare. Sì, come già detto sopra circa la testimonianza del Pacichelli, il mare arrivava alla metà del ‘600 quasi a toccare la collina, per intenderci quella base di collina sulla cui sommità oggi stanno diverse ville private nonché la struttura del cimitero comunale.
A proposito di architettura, belli i due balconcini che si trovano al centro della facciata, divisi da un pilastrino con capitello. Più in alto si notano gli archetti pensili e le decorazioni a forma di conchiglia che sono allineate lungo il fregio, quasi un omaggio al mare che qui un tempo costituiva il paesaggio sullo sfondo.
All’interno, posta dietro l’altare centrale, sta una recente riproduzione dell’icona bizantina della “Pinta” realizzata meravigliosamente da Rita Mantuano su impulso e progetto di associazioni quali “Lo scaffale” di Amantea, che ha proposto il progetto, e poi “Brutia libera” di Cosenza e la “Confraternita dell’Addolorata” di Amantea. Chiamata anche “Madonna Michelizia”, essa ricalca quella che doveva essere un’icona sicuramente presente nel XVII secolo, di cui si fa menzione in alcune fonti (come l’Atlante Mariano del gesuita Guillermo Gumppenberg).
Sulla destra della facciata della chiesa, dopo una breve svolta, si è nel chiostro dell’antico convento.
Il convento fu soppresso nel 1809 dopo le leggi eversive della feudalità e fu venduto a privati (nuovamente i Cavallo). Nel 1913, la famiglia Bruni comprò dai Cavallo la casa storica dei frati cappuccini (e il chiostro), con annesso il giardino. La chiesa, caduta in rovina, venne restaurata dalle fondamenta nel 1950.
Ci piace ricordare la figura gigante di un sacerdote, che qui ha scritto pagine di storia importante: don Giulio Spada. Tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso fu promotore di indimenticabili iniziative di formazione e aggregazione che segnarono l’adolescenza dei giovani dell’epoca.
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