Il 20 febbraio del 1943 è certamente una data straordinaria, impressa in maniera indelebile nella memoria collettiva di Amantea, tramandata nei decenni. È il giorno in cui la città ha scoperto e sperimentato sulla propria pelle cos’è un bombardamento aereo. Non era mai capitato prima. Probabilmente le persone dilaniate dal fuoco e sepolte sotto le macerie non sapevano proprio cosa fosse un bombardamento fatto attraverso mezzi aerei, che planavano sulla tranquilla Amantea.
Certamente era ancora riecheggiante, come un incubo mai allontanato, il bombardamento fatto per mezzo dei cannoni, dai Francesi, durante l’assedio del 1806-07. Ma nessuno immaginava che la fuga delle truppe tedesche, dal Sud, nel ’43, potesse diventare un tiro al bersaglio anche su inermi cittadini.
Furono mesi di ansia, paura, sfinimento fisico, indigenza, per via del tassativo razionamento dei generi alimentari. Furono mesi in cui era usuale vedere carovane di gente impaurita scappare dalle bombe, muoversi in massa verso l’entroterra, in luoghi meno esposti al pericolo. Un esodo verso le località interne, caratterizzato da estreme privazioni e da una solidarietà collettiva commovente.
Ad Amantea ci furono 26 vittime accertate e centinaia di feriti, alcuni investiti e mutilati dalle schegge delle bombe.
L’arciprete della chiesa di San Biagio don Francesco Perna fu colpito nel volto dai vetri i frantumi delle finestre della chiesa madre, rimanendo cieco. Un corpo, quello del giovane Giuseppe Furelli, non fu mai più ritrovato, forse polverizzato dall’esplosivo.
Probabilmente gli esecutori della terribile azione killer furono velivoli statunitensi denominati Consolidated B-24 Liberator.
Erano le 16 e 30, di un pomeriggio come tanti, chi rincasava dal lavoro dei campi, alcuni bimbi giocavano prima che facesse buio. Un rumore in cielo, un sibilo, il boato tremendo e i corpi maciullati. Le bombe centrarono l’abitato, su via Indipendenza, nei pressi del numero civico 50, di fianco alla chiesa madre della città. Bombe americane (qualcuno però non scarta l’ipotesi che fossero inglesi), che comunque “sbagliarono” bersaglio di pochi metri. L’obiettivo, infatti, raggiunto parzialmente, era distruggere o danneggiare il ponte sulla Nazionale, dopo la chiesa matrice al fine da ostacolare la ritirata tedesca. Senza fronzoli, però, l’azione degli Alleati non risparmiò niente e fu centrato anche il palazzo Del Giudice (oggi le rovine sono denominate Case Sciullate).
Drammatiche anche le scene dei funerali, tenutisi qualche giorno dopo, quando «un lungo corteo di camion militari adibiti a carri funebri si snodò per corso Umberto I° con grande accorrere di folla e di autorità e su tutto un mesto velo di silenzio» (Roberto Musì).
Alcune testimonianze: